Oggi più che mai, sembra opportuno definire, o meglio ri-definire, quelle che dovrebbero essere le caratteristiche di un uomo o di una donna che ricoprono la carica di leader. Oggi più che mai. Certamente sì. Lo richiede il momento socio economico che stiamo vivendo, contrassegnato da difficoltà superabili sono con doti che, ad ogni livello, siano in grado di condurre un’attività, un’impresa o qualsiasi altra ipotesi lavorativa, con la consapevolezza che la “Leadership” è una prerogativa fondata su comportamenti e logiche ben precise.
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Partiamo da un esempio.
Siamo all’interno di un’azienda. Il dirigente, quindi il leader, affida ad un collaboratore l’incarico di redigere, con il suo team, la valutazione di un progetto commerciale. Il collaboratore, dotato di tutti i titoli accademici ed esperienziali necessari per ricoprire quella funzione, con il suo staff si mette al lavoro. La relazione dovrà esaminare e valutare una nuova partnership con un’importante azienda del settore. Ovvio dire che il duro lavoro affidato a questa squadra di professionisti necessitava di un certo lasso di tempo, indispensabile per mettere sul tavolo tutte le variabili legate a quell’importante prospettiva. Il lavoro fu preparato e presentato da tutto lo staff. Presentato in una sala riunioni moderna e tecnologica. Il leader seduto a capo di quel lungo tavolo: una espressione poco rassicurante e molto supponente. I cinque membri pronti a presentare con orgoglio una relazione che, a loro giudizio era completa e giungeva alle giuste conclusioni. Il capo staff iniziò la presentazione, coadiuvato da una collaboratrice che dettagliava le slide proiettate. Un lavoro preciso, esaustivo e ben presentato.
Cosa Vi attendete possa essere successo una volta terminata la relazione? Quale l’atteggiamento del leader seduto in posizione dominante? Elogi, controdeduzioni, ipotesi migliorative o cos’altro?
Come primo punto venne evidenziato che, quel report, non rispondeva alle esigenze del leader. Può succedere. Tutto può essere migliorato o rivisto con differente ottica. Ma l’irreparabile errore del “capo” fu quello di formulare critiche plateali e offensive. Con toni aggressivi, rivolti sia alla persona che ai professionisti. Dopo un debole tentativo di avvalorare la tesi proposta, tutto lo staff si ritirò. Umiliato, con il morale a terra. Con la propria figura professionale delegittimata e così vistosamente attaccata.
Domanda:
come avrebbe dovuto gestire quell’incontro un manager che fosse veramente un leader, una figura di riferimento di quell’azienda e, ancor di più, dei propri collaboratori?
Forse “criticando con tatto” e in modo costruttivo il lavoro presentatogli.
Quando si arriva a questo punto durante un corso sulla leadership, viene chiesto quale sia lo stile di gestione che, a giudizio dei partecipanti , sia più performante e portatore di “goals” nelle vicende aziendali, interpersonali e professionali:
- “Stile duro e intransigente” o “Approccio collaborativo e motivante“?
- “Rimproveri” fatti con toni che minacciano futuri provvedimenti o “Condivisione” delle difficoltà e delle possibili soluzioni da ricercare?
- “Rispetto” della persona che abbiamo difronte o “Tattica” del marchese del Grillo?
- Meglio un “Capo Dispotico” o una persona in grado di “mettere a proprio agio i collaboratori“?
otremmo continuare a porci tante domande. Ma iniziamo a darci qualche risposta che ci guidi nel comprendere quale possa essere lo stile di leadership da perseguire.
Anzitutto sfatiamo un falso mito. Che “duro e puro” sia sinonimo di un grande leader. Maniere brusche, rimproveri plateali, atteggiamenti aggressivi, rapporti interpersonali umilianti, denotano le scarse capacità comunicative, relazionali e umane di chi ricopre quella posizione. Gravi lacune che mineranno sempre il rapporto con colleghi e collaboratori. Nessuna persona viene motivata a fare meglio quando si sente attaccata e denigrata.
E’ dal concetto di Intelligenza Emotiva di Daniel Goleman che è possibile partire. Goleman è uno psicologo statunitense, docente ad Harvard, giornalista e scrittore.Quando nel 1995 pubblica la prima edizione de “Emotional Intelligence” suscita una vera e propria rivoluzione. La “Harvard Business Review” definisce la teoria di Goleman “una categoria rivoluzionaria che manda in frantumi i vecchi paradigmi“, nonché una delle idee più influenti nel campo del business.
Da questo primo assunto, Goleman formula poi la Teoria della Leadership Emotiva.
(Goleman al Word Economic Forum a Davos nel 2011)
Se leggiamo il caso del leader dell’esempio citato alla luce della teoria di Goleman, troviamo una prima grossa falla nel comportamento tenuto nei confronti dei propri collaboratori. La mancanza di capacità nel “costruire una critica con tatto“, messaggio di fondamentale importanza diretto ai propri collaboratori. L’attacco personale ottiene solo una reazione di chiusura, di difesa, con il risultato di rendere inefficace qualsivoglia utile consiglio, ormai totalmente squalificato dal comportamento negativo. Non meno importante è il “come fare una critica“. Non in pubblico, davanti ad altri, ma in separata sede, a tu per tu. Lo stesso vale per un elogio. Diamo la possibilità di replicare, senza l’imbarazzo della presenza di altri. Senza la sensazione di essere giudicati da chi, non di rado, può anche trarre giovamento da quella nostra momentanea difficoltà.
Un’altra grave carenza di quel leader irascibile è stata la “mancanza di sensibilità“. E’ ad una dote insostituibile che si fa riferimento, all’Empatia, cioè alla capacità di sintonizzare le proprie parole sulla sensibilità del nostro interlocutore. Evitando di ferirlo inutilmente con comportamenti arroganti, come il liquidare una persona con modi sprezzanti. I contenuti e i risultati non miglioreranno di certo trattando le persone in modo autosufficiente, denigratorio e privo di rispetto per la persona stessa. Empatia significa saper rispettare e motivare i componenti di un Team, anche quelli più sensibili e meno corazzati dal punto di vista caratteriale. Una critica può essere formulata rispettando la personalità e i sentimenti di chi è davanti a noi.
E’ allora ad uno stile di leadership positivo che alludiamo. Cioè quello che persegue un obiettivo aziendale o professionale con una fermezza che tende a motivare i propri collaboratori/dipendenti, guidandoli e correggendoli, quando necessario, con critiche costruttive in grado di far crescere il rapporto e, contestualmente, creare valore per il business e per l’azienda.
I migliori leader sono quelli che sanno meritarsi la fiducia dei propri collaboratori, agiscono con empatia, sanno comunicare nel modo corretto, infondono motivazioni, incoraggiano, delegano autorità e compiti e soprattutto sanno mettere una mano sulla spalla a chi ne ha bisogno. E’ da qui che si può fare esprimere al meglio ogni persona, mettendola nella condizione di sentirsi parte integrante ed importante di un contesto. Consentendole di sentirsi realizzata, come persona e come professionista. Consentendo anche di poter sbagliare, per poi crescere insieme.
La vera leadership è tutta qui…..e parte sempre da un profondo rispetto della persona.
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