(Milano: i locali dei navigli affollati in una serata d’estate)
La normalità. Un termine che spesso viene utilizzato per indicare gesti ordinari, azioni ripetute che, di giorno in giorno, compiamo quasi automaticamente. Quasi a voler puntualizzare che, proprio perché normali, sono prive di quel fascino e quell’entusiasmo che la routine ci ha tolto. Le facciamo perché “dobbiamo” farle, ma senza quel trasporto che le renderebbe uniche e speciali.
Tante le volte che ad una domanda banale come quella “cosa hai fatto questa settimana“, la risposta è netta e scontata: le solite cose, niente di nuovo. Lasciando sottintendere quel poco entusiasmo che da quella normalità ci viene dato.
Il momento che stiamo vivendo è certamente quanto di più apocalittico e sconcertante potessimo attenderci. Solo alcuni film catastrofici ci avevano prospettato scenari in grado di far venire la pelle d’oca ma, appunto, erano solo film. Molti si ricorderanno del film “Cassandra Crossing” dove, per fermare un contagio potenzialmente devastante per l’umanità, venne deciso di far precipitare un treno su cui un infetto si era nascosto e aveva contagiato tutti i viaggiatori. E allora, tute e volti nascosti, respiratori per filtrare l’aria e i potenziali contagiati blindati per evitare il proliferarsi del contagio. Una sceneggiatura magistrale, oggi riscritta drammaticamente dalla natura.
(1976 – Cassandra Crossing: un virus sfuggito ad un laboratorio batteriologico rischia di causare una letale pandemia.)
Dal termine della seconda guerra mondiale, non si erano più vissuti periodi in cui venissero messe in gioco le nostre libertà, le sicurezze acquisite e, soprattutto, la nostra certezza di sopravvivenza. E così, le generazioni che non hanno vissuto quei terribili momenti, mai avevano convissuto con privazioni che sembravano, sino a pochi mesi fa, retaggio di un passato che non sarebbe mai tornato. Un problema di adattamento psicologico di grande rilievo. Come di grande rilievo sono le nostre paure, per noi stessi e per i nostri cari.
Quante volte abbiamo sentito parlare della terribile pandemia influenzale denominata “Influenza Spagnola” che, tra il 1918 e il 1919, si stima abbia infettato circa 500 milioni di persone o un terzo della popolazione mondiale. Il numero di morti è stato stimato in almeno 50 milioni in tutto il mondo con circa 675.000 negli Stati Uniti. Un evento che ci sembrava irripetibile, reso non più possibile dal progresso scientifico in campo medico. Evidentemente così non è. A cento anni di distanza, un invisibile virus è ancora in grado di infettare e uccidere milioni di persone in tutto il mondo.
Ecco, allora, che si sgretolano in pochi giorni tutte le nostre certezze, che sembravano inalienabili e date per scontate. Chi avrebbe mai pensato che, un giorno, avremmo ascoltato dal Presidente del Consiglio un discorso che decretava un “moderno coprifuoco“, il lockdown delle nostre città. Discorso che ci ha chiesto di barricarci nelle nostre case, chiudendo anche le nostre aziende, le nostre attività, sospendendo le nostre professioni e la nostra vita sociale. Nessuno avrebbe mai pensato di vedere le immagini dei nostri ospedali con medici ed infermieri incapsulati in tute e caschi che, sino ad ora, avevamo visto solo in laboratori attrezzati per studiare agenti patogeni e malattie infettive di particolare pericolosità. E nessuno avrebbe mai pensato di leggere i giornalieri bollettini delle migliaia di caduti sul campo per mano di un nemico invisibile e inesorabile.
Senza ombra di dubbio, una riflessione sull’importanza del disporre di vaccini in grado di proteggerci da future catastrofi di questa portata è d’obbligo.
Qualcuno aveva però intravisto l’esistenza di un pericolo invisibile per l’umanità. Che non sarebbe venuto da una guerra nucleare, ma bensì da un agente virale. Lungimiranza di Bill Gates che, in un discorso ufficiale a New York nel 2015, condivise questo suo timore legato ad un qualche cosa che ci preesiste nella storia del mondo. Un virus appunto. Monito che non è stato raccolto, tenendo bassa la guardia delle nazioni sulle uniche armi che possiamo aver in questi casi: la ricerca, di nuovi farmaci e vaccini efficaci contro virus come il Covid-19. Quella ricerca che, dopo questa brutta avventura, dovrà essere incentivata e sostenuta per porci al riparo da future crisi come quella che stiamo vivendo oggi. Da ogni stato e da ogni nazione, a livello globale.
(TED TALK – NEW YORK 2015: Bill Gates espone i suoi timori per l’impreparazione ad affrontare una prevedibile pandemia)
E allora, pensare oggi di vederci al bar per una pausa caffè, o seduti alle nostre scrivanie dopo aver accompagnato i nostri ragazzi a scuola o all’università, ci sembra un qualche cosa di bellissimo, una condizione idilliaca che realizza i nostri desideri di libertà e di pieno controllo della nostra vita. Come quando finisce una vacanza e salutiamo i tanti amici, lasciandoci con un “ci vediamo l’anno prossimo“. Mai così bello è stato quel rinnovare un appuntamento che, forse ripetitivo e scontato, oggi è una meta che dobbiamo riconquistare.
La nostra quotidianità. Fatta di piccoli e grandi gesti. Di rituali che oggi ci sembrano un punto di arrivo, quanto di più bello e desiderabile si possa fare nella vita. Con il sacrificio di rimanere nelle nostre case ci arriveremo e consentiremo alle strutture ospedaliere di curare coloro che si sono ammalati, restituendoli alle proprie famiglie.
Un lento ritorno alla normalità ci farà assaporare ancora di più la riconquista della nostra libertà, il valore di un abbraccio, così come il valore assoluto della vita. Con un monito per tutti. Continuare ad assaporare ogni momento, ogni istante. Perché la natura ci ha insegnato che quell’istante è unico e irripetibile. Come unica e irripetibile è la nostra vita.