Uno dei temi fondamentali quando si trattano materie quali il Public Speaking, la Comunicazione Interpersonale, le Strategie di Negoziazione, le modalità di Gestire un Conflitto e altre tematiche legate al mondo della #Comunicazione è quello di far comprendere l’importanza di essere in grado di gestire con consapevolezza il proprio sguardo. Sguardo che deve accompagnare tutto quello che verbalmente stiamo dicendo e fisicamente stiamo sottolineando con i nostri atteggiamenti.
Se volete sorprendere i professionisti seduti davanti a Voi in aula durante un corso di formazione, non dovete far altro di chiedere loro se siano consapevoli del contributo che i loro occhi possono dare a quanto in diversi contesti argomentano. E quanto essi possano influire sull’esito della loro comunicazione.
Come abbiamo più volte osservato, la nostra comunicazione si fonda su tre diversi pilastri:
il verbale, in non verbale e il paraverbale.
Normalmente, quando si valuta il grafico realizzato di Albert Mehrabian, celebre psicologo statunitense, circa le percentuali delle tre parti costitutive della comunicazione, se andiamo ad occultare le relative percentuali il relativo peso della componente verbale viene molto sovrastimato e, contemporaneamente, viene sottostimato quello delle altre due. Statisticamente, infatti, tutti assegnano alla comunicazione verbale un peso che va ben oltre a quanto indicato nel grafico.
Lo sguardo, fa parte della comunicazione non verbale, cioè di tutto quello che deve sottolineare, potenziare e rafforzare ciò che stiamo dicendo. Primo dato. Lo sguardo rientra nel 55% assegnato al non verbale e, se rapportato al 7% della comunicazione verbale, è un dato che ci deve far riflettere. Pensate quanto può essere produttivo uno sguardo che nei fatti vuole essere rassicurante per la persona che ci è di fronte, accompagnando quello che di confortante stiamo dicendo. Oppure, quanto può essere severo e punitivo uno sguardo che, ben più e meglio, sottolinea il disappunto o il rimprovero che stiamo facendo. O, ancora, un intenso sguardo accompagnato da un lungo silenzio. Quante volte ci sarà capitato di avere risposte che non sono state espresse verbalmente, ma solo con uno sguardo. Senza dover aggiungere nulla.
Altro aspetto di fondamentale importanza quando parliamo dell’utilizzo del nostro sguardo è la congruità tra quello che stiamo dicendo e l’espressione oculare che lo accompagna. Due esempi. Il primo. Stiamo descrivendo ad una persona la nostra nuova casa, piena di luce, con ambienti spaziosi e una rilassante vista su di un bellissimo giardino. Un traguardo raggiunto, espressione di sacrifici e di un sogno finalmente realizzato. Vi aspettate uno sguardo luccicante di gioia ed emozione o, viceversa, uno sguardo spento e triste?
Il secondo, attinente alle implicazioni professionali. Siamo seduti ad un tavolo in cui si sta effettuando una trattativa. Dobbiamo controbattere la tesi sostenuta dalla nostra controparte che, ovviamente, cerca di ridefinire al ribasso la nostra posizione. Incominciamo ad argomentare punto per punto tramite argomentazioni plausibili e logicamente sostenibili. Il nostro sguardo accompagna con decisione e fermezza ciò che stiamo dicendo e cade sui nostri interlocutori, creando uno sinergia e legittimando quanto sostenuto. Immaginatevi ora una esposizione ben argomentata ma, senza mezzi termini, accompagnata da uno sguardo che lascia trapelare che, noi per primi, non siamo convinti di quello che stiamo dicendo, lasciando filtrare timori e poca convinzione. Come andrebbe a finire questa trattativa? Saremmo credibili in ciò che stiamo dicendo, quando evidentemente palesiamo con il nostro sguardo poca convinzione e incertezza?
Charles Bronson e Cleant Eastwood. Due mostri sacri della cinematografia. Due grandi attori che hanno lasciato, per sempre, la loro indelebile impronta, definita da uno stile unico e non imitabile. Stile che deve il suo fascino ad uno sguardo. Proprio così. Anche nei momenti in cui non hanno recitato alcuna battuta, hanno detto molto di più e molto meglio ciò che doveva essere comunicato. Solo attraverso gli occhi. Null’altro.
Dopo queste premesse, attualizziamo il nostro discorso con una considerazione che ci porta all’emergenza che stiamo vivendo e che ci impone, per tutela reciproca, di indossare una mascherina.
Come ben sappiamo, la nostra vita sociale e professionale è oggi “filtrata”, e lo sarà per lungo tempo, proprio da una mascherina. Una mascherina che, della nostra mimica facciale nasconde tutte le espressioni legate alla muscolatura del viso e della bocca. Espressività, sentimenti, stati di gioia e di tristezza, dubbi, rabbia, condivisione o dissenso. Tutto nascosto dietro a quella maschera che ci deve difendere da un agente visibile solo al microscopio elettronico.
Ecco allora la domanda fatidica: quale è, oggi, il nostro unico modo di comunicare i nostri stati d’animo e le nostre emozioni?
Nella fase che stiamo vivendo, l’unica via per poter sottolineare i nostri pensieri e caricare di significato ciò che stiamo dicendo è il nostro sguardo. Le smorfie della bocca, la tensione emozionale del viso, i segni della stanchezza o di nervosismo, non sono più visibili. Solo il nostro sguardo è in grado di trasmettere stati d’animo e sensazioni, avvalorando tutto ciò che all’ombra di una mascherina stiamo dicendo.
Un esempio calzante. Pochi giorni fa, abbiamo presenziato ad una riunione del CDA di una società. Era la prima volta che quel consiglio veniva riunito dopo l’emergenza Covid-19. Oltre all’ovvio distanziamento attuato nella sala riunioni, l’aspetto preminente, se non ostacolante, è stato l’essere tutti coperti da quella mascherina. Per alcuni, abituati ad una comunicazione professionale, quindi in grado di utilizzare anche la componente non verbale, l’essere coperti dalla mascherina non è stato un limite, ma solo una condizione obiettiva. Per altri presenti, invece, l’indossare quella mascherina è stata una condizione limitante. Per un motivo ben preciso. In tutti i momenti in cui la tensione e le criticità sono emerse, quello sguardo non allenato e non consapevole della sua maggiore leggibilità in tale condizione, ha tradito una aggressività e un dissenso che non ha certo giovato a chi lo ha espresso. Ben meno hanno pesato le parole espresse. Una condizione nuova che, molto spesso, ci rende inadeguati anche quando non vorremmo esserlo.
E’ allora ancora più importante di sempre saper parlare con gli occhi. Compiendo un esercizio quotidiano che ci servirà pere sempre. Che, per sempre, darà valore aggiunto a quello che diciamo, in ambito privato o professionale. Perché niente è più convincente di uno sguardo leale e sincero.