PUBLIC SPEAKING, L'ARTE DI PARLARE IN PUBBLICO
(Presentazione del concerto dei Maestri Vercillo e Cadossi dedicato al Centro Addestramento Cani Guida di Limbiate)
Sovente ci troviamo a dover tener un discorso in presenza di più persone. Cinque, cinquanta o duecento. Poco cambia. Dobbiamo sempre prendere la parola, vincere quell’ansia che ci assale, ricordarci quello che dobbiamo dire, non cedere ad eventuali provocazioni e, possibilmente, parlare in modo convincente ed efficace.
Waldo Emerson affermava che “All great speakers were at first bad speakers”. Ecco che, ancora una volta, il segreto risiede nella #Formazione. Un primo pericolo. La convinzione di essere depositari di una “predisposizione naturale“, tale da rendere superflua ogni attività di formazione. Spesso, questo atteggiamento di “Overconfidence” verso se stessi, questa mancanza di sapersi valutare con un profondo senso di umiltà e realismo, si profila come uno dei pericoli più incombenti su di una presentazione da tenersi difronte ad un pubblico.
(Ralph Waldo Emerson – Scrittore e Filosofo statunitense, nato a Boston nel 1803)
Anzitutto, vi sono tre elementi comuni quando si parla in pubblico: presenza dell’oratore e di un pubblico, la nostra presentazione e la circostanza per cui teniamo quell’intervento. Ovvio che l’oratore è il protagonista e, come tale, deve essere competente sull’argomento presentato, aver preparato accuratamente il suo discorso, avere una presenza scenica, una abilità oratoria ed essere in grado di comprendere ogni feedback del pubblico. Ed è proprio la conoscenza del pubblico che ci guiderà su quale taglio dare al nostro discorso. Pubblico che dovremo “saper leggere“, interpretando interesse, entusiasmo o, alle volte, noia e intolleranza. Una particolare attenzione dovremo porre nel formulare battute o ogni considerazione che debba essere seguita da un sorriso, così come da un applauso. Drammatico il caso in cui, dopo la nostra “gag” nessuno sorrida o partecipi con un applauso. Anche in questo caso, se non siamo dotati di quella capacità di “saper strappare un applauso“, lasciamo a chi è più dotato di noi questo compito. Conoscenza di se stessi. Assolutamente sì!
Strategica sarà la scelta del nostro obiettivo. Tre quelli possibili: informare, trattenere o persuadere. Ognuno di essi avrà una costruzione diversa del discorso. Tipica di uno “speech” persuasivo è la costruzione a salire, elevando la temperatura dei presenti. Invitandoli a quella che in gergo si chiama “call to action”, stimolando il comportamento desiderato.
(Sala Pittaluga del Conservatorio Vivaldi di Alessandria: la Direttrice Angela Colombo con Claudia Cirri al termine della presentazione del concerto del Maestro Giorgio Vercillo)
La scaletta della presentazione potrà essere costruita con una sequenza cronologica, causale o del tipo problema e soluzione. Con una regola di base. Seguire un ordine preciso, in grado di stabilire, con un’abile regia, un legame forte tra le varie parti del discorso. Senza fuorvianti e pericolosi salti logici in grado di creare confusione e distanza da quello che stiamo a fatica argomentando.
Ora è venuto il momento di prendere la parola. Il nemico numero uno, l’ansia. Unita allo stress è in grado di offuscarci la mente, di accorciarci il fiato, di farci scordare tutto quello che abbiamo minuziosamente studiato. In altre parole, di gettarci nel panico. Le nostre armi risiedono nel saper gestire con padronanza la nostra presentazione. Di più. Essendo in grado di conoscerci a fondo, consci dei nostri punti di forza e di debolezza. Valutandoci in modo realistico. Credendo in noi stessi, senza sotto o sopravalutazioni. Partendo da quella “Autoconsapevolezza” che ci rende consapevoli dei nostri punti di forza, così come di quelle aree in cui siamo in maggior difficoltà.
Altra aspetto che dobbiamo essere in grado di gestire con padronanza è quello delle “Emozioni“. Quante le emozioni che ci assalgono ancor prima di dover iniziare il nostro intervento. Mentre stiamo aspettando di essere presentati, con quel vuoto di memoria che ci ricorda i tanti esami universitari sostenuti. L’emozione è una parte di noi. Alcuni sono geneticamente meno emozionabili, altri molto di più. Ecco, allora, che, ancora una volta, dobbiamo conoscere a fondo noi stessi. Non reprimendo le nostre sensazioni, soffocandole maldestramente, ma assecondandole e dominandole in modo da far sì che quelle emozioni possano divenire nostre alleate.
Nei corsi di formazione che teniamo ormai da molti anni, evidenziamo l’importanza di gestire con proprietà le capacità espressive del proprio corpo, utilizzando la nostra voce variando volume, velocità e tono. Proprio così, il nostro strumento principale. Capace di evidenziare e sottolineare un passaggio del nostro intervento, caricandolo di significato. Troppo spesso, l’uso consapevole della nostra voce non viene nemmeno considerato e tantomeno utilizzato.
Manteniamo il contatto oculare con il nostro pubblico, dando la sensazione di essere lì per ognuno di loro. Coinvolgiamolo empaticamente con la formulazione di domande, sapendo superare anche quelle più insidiose e provocatorie, poste con la chiara intenzione di metterci in difficoltà. Gestiamo con padronanza anche un momentaneo vuoto di memoria con la “Tecnica di gettare la scimmia”, spostando così l’attenzione da noi a qualcos’altro. Per poterci riprendere, senza farlo comprendere a chi ci sta guardando ed è seduto davanti a noi.
Fondamentali le esercitazioni. Con una finalità principale. Quella di prendere confidenza con se stessi. Decidendo di non improvvisare, ma di affidarsi a quella preparazione in grado di darci sicurezza e consapevolezza delle nostre capacità. Il punto di partenza. Presentarsi in pochi minuti. Non con un elenco cronologico di città in cui abbiamo abitato e scuole frequentate, ma con quella capacità di coinvolgere con la nostra storia personale, fatta di passioni, di sfide vinte e, non di rado, perse.
Parlare in pubblico. Un’arte antica che, ancora oggi, deve essere in grado di apportare valore alla nostra figura personale e professionale.
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Il nostro pubblico è li, davanti a noi. E, a noi, spetta il compito di saperlo affascinare e coinvolgere. Tutto qui.